Fuksas: “L’Expo avanti nonostante la crisi”

di | 7 Febbraio 2009

Appena tornato dal cantiere della Nuvola, il centro congressi che sta costruendo a Roma nel quartiere Eur, Massimiliano Fuksas, l’architetto della Fiera di Rho-Pero, è stanco ma contento: «Va tutto bene. Anche se in questo Paese non si può mai dire, e con la crisi che tira…»

Appunto: tira aria di crisi anche sull’Expo 2015. Soldi che mancano, ritardi. Su Repubblica l’architetto Vittorio Gregotti scriveva che anche l’Expo dovrà tener conto dei tempi, ridimensionandosi… «Guardi, io penso proprio l’opposto. Cioè che con la recessione in corso bisogna tirare fuori tutte le risorse e le energie, creative e anche concrete, per contrastarla».

Avanti tutta come se niente fosse, insomma? Il cuore oltre l’ostacolo?
«Al contrario, guardando gli ostacoli bene in faccia. Oggi c’è la prospettiva di una forte perdita di occupazione e il nostro è un sistema molto rigido, appesantito da un debito pubblico enorme che né lei né io abbiamo contribuito a creare e che non sappiamo neppure cosa sia servito a pagare. Ma se finora tutti i governi hanno giustamente puntato solo a ridurlo, Prodi come Tremonti, adesso l’emergenza è sui posti di lavoro, e ogni occasione per produrne è buona. Compreso l’Expo».

Ma è proprio certo che l’Expo sia il modo migliore?
«Seriamente, non può esserlo nessuno. L’Expo è come un coltello, che può tagliare il pane o ammazzare. Ha un nome obsoleto, “ Esposizione universale”, che suona ottocentesco. E può andare bene come a Barcellona o male come a Siviglia, dove ha lasciato solo dei giocattoloni abbandonati e inutili. Succede lo stesso per le olimpiadi: oggi a Pechino hanno seri problemi per trovare una squadra che si accolli lo stadio, 91mila posti sono troppi, da quando c’è la tv. Ma sono d’accordo sui temi dell’Expo milanese, alimentazione, salute, ambiente. E credo che potrebbe servire, per la sua parte a mobilitare risorse ed energie, se le si sapranno trovare». 

Visto da qui, a molti sembra soprattutto un’occasione per costruire…
«Fare case vuol dire dare lavoro, e occasioni di alloggio a un paese che ne ha bisogno, compresi cinque milioni di emigrati in Italia, di cui molta parte a Milano. Per fare più case ci vorrebbe addirittura un “piano Fanfani”, come quello del dopoguerra. E l’Expo, nella Grande Milano, potrebbe essere anche una buona occasione per la sperimentazione di quartieri di qualità, come è già accaduto nella storia dell’architettura. Per integrare in un progetto urbanistico quell’hinterland che a parer mio è il vero problema da affrontare a Milano, una città diffusa che trovare il modo di riconoscersi metropoli».

Lì, a Rho-Pero, lei ha fatto una bellissima Fiera. Ma già si sente dire che con la crisi non è facile riempirla di visitatori. L’Expo, proprio accanto, non corre lo stesso rischio?
«Guardi, grazie per il bellissima, ma il problema della Fiera, che è quello di tutta l’Italia, sono le infrastrutture. Francia e Germania ne sono molto più dotate, noi siamo ancora fuori dalla rete europea dell’alta velocità, abbiamo porti mal messi, autostrade vecchie e aeroporti di cui è meglio non parlare».

Parliamone in relazione all’Expo, invece. Come si farà a portarci la gente, con Malpensa in disarmo?
«Sarebbe impossibile. L’Italia, per come è fatta, ha bisogno di due grandi aeroporti, moderni e intercontinentali, come li ha la Germania che pure ha una geografia più compatta. Ma certo i sindaci di Francoforte e Monaco si sono messi d’accordo, non si sono fatti concorrenza. E alle spalle avevano una grande compagnia aerea, mentre noi ne avevamo una piccola e ce la ritroviamo piccolissima..»

Non è una montagna di difficoltà così alta da suggerire più umiltà e sobrietà anche per l’evento del 2015?
«Le ripeto, io sono contrario a chi di fonte alla crisi e alle difficoltà dice: meglio spendere meno, essere frugali, licenziare i dipendenti, diventare sobri come monaci. Non è quello che ci vuole, se si ha un po’ di realismo. Di fronte alla perdita di posti di lavoro, invece, è etico usare tutti gli strumenti per dare un briciolo di impulso alle cose, al di là delle discussioni filologiche».

Che consigli darebbe, per evitare un flop?
«La gente non va agli Expo per trovare quello che ha a casa sua, ci va perché, e se, ci trova dei grandi giocattoli nuovi. Se questi sono anche utili, l’Expo è positivo. Se non lo sono, finiscono come costosi relitti abbandonati. Quindi, evitare la monumentalità fine a se stessa ma inventare senza paura di pensare l’impensabile una strategia per raccontare la nostra storia e la nostra creatività. In relazione al tema scelto».

Dice poco. Già l’idea di giocattolo utile sembra un ossimoro.
«Ma no, perché? Pensi al gusto del piacere e del vivere nelle città antiche: circhi, terme, teatri, fori, parchi… Giocattoli utili, elementi ludici ma anche di incontro e di socialità urbana. Si potrebbe partire di lì».

Fonte:laRepubblcaMilano.it